A poche ore dalla gara conclusiva della sua pluridecennale carriera da allenatore, è giusto attribuire a Ranieri … ciò che è di Ranieri.
Nel mondo dello sport, quando si deve trattare di un’impresa compiuta da una certa squadra, si tende, giustamente secondo il mio parere, ad usare sempre il “noi”, visto che, ovviamente, negli sport di squadra è fisiologicamente impossibile che tutto il merito si attribuisca ad un unico individuo.
Anche nel caso della splendida rimonta della Roma di quest’anno, dunque, non è possibile non evidenziare come essa sia stata resa possibile dall’abnegazione e dal repentino cambio di marcia dei calciatori giallorossi, i quali sono riusciti a restituire un senso ad una stagione che, per citare Vasco Rossi, “un senso sembrava non avercelo più”.
Nonostante ciò, che è sacrosanto e abbastanza innegabile, è difficile, specialmente se si vuole osservare la situazione con una prospettiva dolcemente romantica, non ritenere che Claudio Ranieri, accettando di prendere in mano una situazione burrascosa come quella giallorossa, non abbia giocato un ruolo più che fondamentale nell’economia di questa fantastica storia di sport.
Più che una favola limitata al mondo sportivo, però, la parabola del tecnico di Testaccio e della sua squadra del cuore assomiglia più ad una morale per la vita in generale: è possibile rialzarsi dopo delle brutte cadute, per rovinose che possano essere, tramite il lavoro e la collaborazione, tentando di compiere il proprio dovere nella migliore maniera possibile, mettendo a disposizione del gruppo tutte le proprie doti.
Ranieri ha fatto tutto questo, ma sarebbe assolutamente banale e del tutto sbagliato descrivere la sua opera come soltanto emotiva, da padre predicatore, se è vero che Claudio ha ridonato un’identità tattica chiara e ben definita alla propria squadra, riuscendo, pezzo dopo pezzo, a restituire alla causa comune praticamente tutti i calciatori della Roma.
L’opera di Ranieri
A metà dello scorso Novembre, quando è rientrato a Trigoria da allenatore della Roma per la terza volta in vita sua, Claudio Ranieri ha trovato una situazione veramente disastrosa, causata da una gestione scellerata sia della dirigenza che dell’ultimo allenatore, mandato via dopo poco più di cinquanta giorni dal suo arrivo.
La squadra era completamente demotivata, infastidita nei confronti dei piani alti e assolutamente in confusione dal punto di vista tattico, come aveva pienamente dimostrato la gara casalinga con il Bologna, conclusasi con la vittoria per 3 a 2 dei felsinei, in rampa di lancio dopo un avvio complicato.
Mancavano come il pane delle certezze su cui la squadra potesse appoggiarsi e, di conseguenza, da tecnico saggio e navigato qual è, la prima mossa che Ranieri operò fu proprio quella di fondare i primi mesi del suo mandato sulla ricerca di alcune solide pietre su cui “fondare la sua nuova chiesa”.
Giocatori come Hummels, sparito dai radar nella prima parte di campionato, Dybala, Paredes, Mancini e Koné diventarono improvvisamente del tutto insostituibili e, andando avanti con le partite, si verificarono delle circostanze in cui divenne possibile sostituire qualche titolare a causa del vantaggio accumulato.
La scelta di Claudio, specialmente nella roboante vittoria contro il Parma, fu, invece, quella di non dare un cambio a nessuno, ritenendo che fosse fondamentale creare una qualche amalgama tra i principali interpreti della sua rosa, ancora a secco di conoscenza reciproca.
Questa strategia fu presto premiata e, all’inizio dell’anno, la Roma vinse il derby d’andata, concludendo il girone con un acuto così forte da donare slancio per i mesi successivi.
Rivitalizzati
Dopo l’entusiasmante vittoria nella stracittadina, garantita dalla splendida gara di Lorenzo Pellegrini, per Ranieri e la Roma iniziò una nuova fase, ossia quella in cui, anche per far rifiatare un po’ i titolari, il tecnico iniziò a dare fiducia anche alle riserve, fino a quel momento chiamate poco in causa.
Uno dopo l’altro, dunque, giocatori come Celik, Cristante, Baldanzi, il nuovo arrivato Rensch, Pisilli, Shomurodov e, soprattutto, Matias Soulé, ognuno in partite diverse, riuscirono a far valere di nuovo il loro talento, dando un’importante contributo alla squadra.
Da squadra apparentemente fornita di un organico abbastanza stringato, di conseguenza, la Roma si rese conto di disporre di una rosa in realtà molto più profonda rispetto alle aspettative, in grado, al contrario di quanto si pensava prima, di potersi adattare a numerose alternative tattiche.
Specialmente dopo il KO marzolino di Dybala, il quale, considerato il complicato calendario dell’ultima parte dell’anno, rischiava di stroncare le ambizioni europee della Roma, Ranieri, volente o nolente, ha dovuto, infatti, forzatamente virare su altre soluzioni.
Quest’ultime, alla luce degli ottimi risultati ottenuti dall’infortunio dell’argentino ad oggi, hanno sicuramente reso più di quanto ci si aspettava, permettendo ai giallorossi di risultare una squadra di difficile interpretazione per la molteplicità di moduli e schieramenti in grado di adottare.
E’ innegabile, allora, che, oltre alla rivitalizzazione della squadra, ci sia stata anche un’attenzione nei confronti di ogni calciatore, il quale, sentendosi addosso la fiducia del proprio allenatore, ha ottenuto il tempo e lo spazio per mettersi in mostra e dare una sostanziosa mano alla causa giallorossa.
Il futuro
Quando Ranieri, comunque andrà, tornato dalla trasferta di Torino, abbandonerà il suo ufficio di allenatore a Trigoria per sedersi dietro alla scrivania di “Senior advisor”, indubbiamente lascerà una Roma migliore, più forte e più consapevole dei suoi stessi mezzi, rispetto a quella che aveva trovato.
Ciò è, oltre ogni ragionevole dubbio, una prova certa del lavoro incredibile compiuto dal tecnico romano, a cui, se non si vogliono riconoscere le doti tattiche e tecniche, si devono certamente attribuire un enorme coraggio e una passione verso questi colori fuori da ogni misura.
Un romanista indefesso, uno di quelli che, senza parlare tanto, ha sempre sofferto, anche osservandola da lontano, per la sua Roma e che, nel momento del bisogno, per ben tre volte ha rinunciato a offerte migliori pur di provare ad aiutarla.
Una prova d’amore incontestabile, del tutto in controtendenza con i valori, legati più al denaro che all’attaccamento alla maglia, che il calcio moderno cerca continuamente di propagandare, facendo in modo che questo sport perda il suo innato romanticismo.
Servirebbero più allenatori, pardon, più uomini come Claudio Ranieri in questo mondo e, di conseguenza, da semplice appassionato, ritengo che “grazie” sia una parola troppo semplice ed eccessivamente sbrigativa per salutarlo.
Foto: facebook AS Roma.