Oggi a “Quella volta che” rispolveriamo dal cassetto dei ricordi l’istantanea di quando Taddei svelò il funambolico numero di sua invenzione
Ci sono momenti nel calcio che valgono più di una rete segnata o una vittoria, capaci di restare impressi nella memoria collettiva per la loro pura e inattesa bellezza e per l’emozione che questi hanno generato negli amanti del calcio.
Uno di codesti istanti è legato a un nome tanto semplice quanto stranamente criptico, non autoesplicativo.
Esistono infatti tante celebri giocate (l’elastico, la rabona, il doppio passo, etc.), ma quasi nessuna porta un nome proprio di persona, per di più dai richiami così marcatamente imperiali e identitari.
Solo una sfugge a questa regola: L’Aurelio. Questa finta, inventata ed eseguita da Rodrigo Taddei quando vestiva la maglia del suo amore calcistico, la Roma (2005-2014), regalò al calcio una gemma rara di talento e all’Accademia della Crusca una diatriba “petalosa”.
Ora rimembriamo questa storia fiabesca a Quella volta che, la Rubrica amarcord di Calciosport.com.
Il contesto: notti di Champions
La vicenda ha luogo il 18 ottobre 2006, in una notte di Champions League allo Stadio Georgios Karaiskakis di Atene, teatro della sfida tra l’Olympiacos e la Roma di Luciano Spalletti, al suo primo mandato nella capitale (2005-2009).
I giallorossi erano impegnati in un girone che, oltre alla squadra greca, vedeva partecipi Valencia e Shakhtar Donetsk. La Roma aveva vinto 4-0 contro gli ucraini, ma aveva perso 2-1 contro gli spagnoli.
La terza gara, Roma-Olympiacos, era l’occasione per riportare i capitolini sui giusti binari. Nonostante il vantaggio di Perrotta al 9′ minuto, la pressione greca era stata notevole e, in quella tensione, non ci si aspettava certo un numero da circo da togliere il fiato.
L’Aurelio di Taddei
Al 63′ Taddei riceve palla nell’angolo sinistro dell’area avversaria, apparentemente intrappolato da un contendente e dall’imminente raddoppio.
E’ in questo istante che Rodrigo, in un lampo di genio brasileiro, tirò fuori il coniglio dal cilindro.
Finge di allargare il pallone con l’interno del piede destro, portandolo momentaneamente alle sue spalle, dietro la gamba d’appoggio.
Non appena il difensore asseconda quel movimento, in un gesto fluido e senza che la sfera si stacchi mai dal piede, la riporta avanti a sé con l’esterno, nello spazio ormai svuotato dall’avversario.
Una sorta di elastico al contrario e con in mezzo la propria gamba.
Il gesto lasciò increduli i difensori e tutti gli spettatori del match, romanisti e non, suscitando un sospiro di stupore prima dello strepitio furente della gente che acclamava Rodrigo e il suo numero (clicca qui per il video della giocata).
La coniazione: l’omaggio a Andreazzoli
La finta divenne leggendaria non solo per l’esecuzione, ma per la sua genesi, svelata dallo stesso Taddei nell’intervista post-partita.
Interrogato sulla magia appena compiuta, il centrocampista svelò l’origine del nome, rendendo omaggio a un amico facente parte dello staff di Spalletti che poi diverrà molto noto a Roma: Aurelio Andreazzoli.
Rivelò che Andreazzoli, in allenamento, lo spronava goliardicamente a tentare quella giocata anche in partita e, per accontentarlo e “zittirlo”, la fece, battezzandola col suo nome.
Andreazzoli nel febbraio 2013 sostituirà Zeman sulla panchina giallorossa, in una parentesi non felicissima della storia dell’Urbe eterna, ma nella quale porterà a termine con orgoglio e dignità il suo incarico, nonostante il 6° posto in Serie A e la sconfitta in finale di Coppa Italia contro la Lazio.
Così si intrecciano le storie di due cuori giallorossi, rendendo il loro ricordo imperituro nella memoria della tifoseria, stessa ambizione di eternità a cui ambisce Quella volta che, la Rubrica amarcord di Calciosport.com.









