Dando vita ad una vera e propria telenovela, Lookman sta dimostrando come non esista più il “pallone” di una volta.
L’articolo che mi appresto a scrivere, per poter essere compreso senza alcun fraintendimento, deve senza dubbio iniziare con una doverosa premessa, necessaria a stabilire quale sia il reale scopo di questo pezzo, che, avendo la pretesa di definirsi, più o meno, “giornalistico”, non può prendersi una libertà eccessiva nell’andare a parteggiare verso l’una o l’altra fazione andatesi a formare nel caso che si andrà ad analizzare.
Decidendo di scrivere le righe che seguono, difatti, l’obiettivo del sottoscritto non è quello di perorare una causa, né tantomeno quello di convincere i lettori a prenderne le parti: tutt’altro. Con ciò che ho intenzione di andare a battere sulla tastiera del mio pc, io voglio unicamente rendere evidente il cambiamento che, rispetto a qualche anno fa, il mondo del calcio, ma anche quello in cui viviamo quotidianamente, ha vissuto, ritrovandosi assai mutato.
Spero, di conseguenza, una volta stabilito questo assunto, di potermi lanciare nella trattazione dell’argomento senza la paura di risultare “partigiano” nei confronti della causa atalantina, che, nelle ultime ore, si è ritrovata al centro di un caso sportivo mediaticamente assai impattante nell’opinione pubblica nazionale.
Dietro alla cessione di un semplice calciatore, infatti, secondo il parere del sottoscritto, si nasconde una vicenda che centra poco con il calcio giocato, ma, al contrario, è di importanza capitale nell’equilibrio del mondo del “pallone”, quello che, un tempo, facendo leva su certi valori, animava le settimane di milioni di italiani.
Ciò è cambiato e, nei paragrafi seguenti, tenterò di argomentare la mia, ripeto, personale opinione sulle modalità con cui questa vera e propria rivoluzione si sia manifestata.
I fatti: Lookman, l’Atalanta e la trattativa con l’Inter
Ademola Lookman, negli ultimi anni, è stato uno dei calciatori di punta della Dea di Gasperini, che, nel 2024, ha sollevato il suo primo trofeo europeo grazie alla sua meravigliosa tripletta, realizzata a Dublino contro l’apparentemente invincibile Bayer Leverkusen di Xabi Alonso, ora alla guida del Real Madrid.
L’attaccante nigeriano, famoso per il suo dribbling e la sua grande prolificità offensiva, nell’ultimo anno ha continuato a rappresentare un pilastro dell’undici nerazzurro, ma, con l’addio del suo ex allenatore e le numerose cessioni avvenute nell’ultimo periodo, ha fatto sapere chiaramente di voler abbandonare anche lui la barca orobica.
L’Inter di Beppe Marotta, di conseguenza, dichiaratasi da tempo come molto interessata all’avvenire di Lookman, si è fatta subito avanti e, passo dopo passo, ha intavolato con i Percassi una trattativa serrata, che perdura ormai da più di qualche settimana e non ha ancora conosciuto una fine.
Ad ostacolare l’acquisizione del calciatore da parte dei meneghini, in particolare, vi è la volontà della dirigenza bergamasca di alzare fino ai cinquanta milioni il prezzo del cartellino, rendendo tutta l’operazione interista più macchinosa, ostacolata dalla non eccessiva disponibilità economica del club.
L’attaccante nigeriano, allora, ha iniziato a non presentarsi più agli allenamenti, dopo aver fatto sparire ogni traccia atalantina dal suo profilo Instagram e aver accusato pubblicamente la sua attuale società di tentare di ostacolare il suo addio contravvenendo a dei patti precedentemente siglati.
Dal canto suo, allora, Luca Percassi ci ha tenuto a svelare quali fossero realmente questi accordi, almeno secondo la sua versione: Lookman avrebbe sì potuto lasciare Zingonia, ma solo approdando in un club straniero, non appartenente al nostro paese.
La situazione, di conseguenza, è più che bollente e, probabilmente, necessiterà ancora di qualche giorno prima di potersi sbloccare.
Un grande cambiamento
La NBA, la principale lega cestistica del mondo, nei primi anni Duemila è stata la prima a dotarsi di un associazione giocatori, utile a far valere maggiormente i diritti di tutti gli sportivi a libro paga delle franchigie, accusate spesso e volentieri di non rispettare le necessità dei loro dipendenti.
Da quel difficile momento, durante cui si arrivò addirittura al famoso “lockout”, i cestisti hanno acquisito molte più garanzie, fino a diventare loro, di fatto, i padroni di tutto il campionato, che, ad oggi, è riconosciuto dai più come una “players league”, vale a dire un’associazione sportiva soggiogata più al volere dei suoi interpreti che a quella dei dirigenti istituzionali.
Il calcio nel nostro Paese, fino a qualche anno fa, non sapeva nemmeno in che cosa consistesse questo tipo di situazione, se è vero che le varie società erano proprietà di presidenti storici, legati visceralmente alla propria squadra e, reduci magari da carriere di tipo imprenditoriale, abituati a prendere perentoriamente delle decisioni verso i propri dipendenti.
Con l’aumentare della ricchezza generale del movimento, conseguente all’arrivo di multimiliardarie proprietà straniere e crescenti diritti pubblicitari e televisivi, la rivoluzione ha avvolto anche il cosiddetto “mondo del pallone” nostrano, che, piano piano, ha iniziato ad abituarsi a non essere più identificato, al pari della Liga o della Premier, con le squadre e con i loro colori, ma con gli interpreti che ne fanno parte.
I calciatori, difatti, sono diventati i veri proprietari di tutti i campionati e, dall’alto dei loro faraonici stipendi, hanno acquisito il potere di decidere le sorti, sia in campo che fuori, delle società di cui si ritrovano ospiti, solitamente solo due o tre anni prima di cambiare casa.
Il caso di Lookman è esemplare in questo senso: se non vuoi vendermi, io non mi alleno.
Una tendenza extra-calcistica
Come già affermato più volte negli altri pezzi pubblicati in quest’anno trascorso all’interno della redazione di CalcioSport.com, il calcio, secondo la mia opinione, tende ad essere uno specchio efficacissimo del mondo in cui viviamo, che, come è naturale che sia, tende ad influenzarlo profondamente.
Non può essere un caso, di conseguenza, che la crescita del potere in mano agli sportivi sia coincisa con la caduta o, addirittura, lo sgretolamento completo di alcuni dogmi, buoni o cattivi che fossero, su cui si fondava la cultura precedente, quella, almeno, del Dopoguerra.
Il concetto di dovere, per esempio, ha subito una mutazione fortissima, se è vero che, ormai, non esistono più obblighi in grado di soggiogare l’ambizione personale, le cui voglie devono essere soddisfatte in ogni circostanza, anche quando, purtroppo, si va a limitare la libertà degli altri.
Non esiste più un patto, non esiste più una parola data, non esiste più un legame che sia capace di suscitare in un individuo la tendenza al sacrificio, al compiere un passo indietro, comportamenti abituali, in passato, di persone che hanno messo da parte i loro desideri per il bene di una squadra, di una società o, addirittura, di un paese.
D’altro canto, è assolutamente legittimo evidenziare come ora tutti gli sportivi, ma in generale la gran parte dei lavoratori, godano di garanzie maggiori rispetto ad alcuni anni fa, quando, purtroppo, il fenomeno dello sfruttamento era più che un semplice problema.
E’ chiaro, dunque, come il cambiamento che la nostra epoca sta conoscendo presenti dei lati positivi e dei lati negativi: sta a noi, se non vogliamo prendere una posizione, almeno esserne a conoscenza.