Gravina: Il presidente FIGC al Corriere dello Sport tra Mondiali, riforme bloccate, rapporti con gli allenatori e il nodo stranieri in Serie A
Gabriele Gravina rompe il silenzio e lo fa all’alba di una fase decisiva per il calcio italiano. Il presidente della FIGC si racconta in una lunga intervista al Corriere dello Sport, toccando i temi più caldi: la mancata crescita dei giovani, il peso degli stranieri, il futuro della Nazionale, le critiche personali e il rapporto con Spalletti e Mancini. Un intervento a tutto campo, in un momento in cui ogni passo degli Azzurri viene scrutato con apprensione e ogni scelta federale messa sotto la lente.
“Se vado via L’Italia vince i mondiali?”
Gravina parte dal tema più discusso: la responsabilità politica dopo eventuali fallimenti.
«Se la Nazionale non si qualifica ai Mondiali – spiega – non esiste una norma che imponga le dimissioni del presidente. Ma farei le mie valutazioni personali. A chi mi dice di andare a casa chiedo: se me ne vado io, vinciamo i Mondiali? Se ne avessi la certezza sarei il primo a farmi da parte».
Il presidente difende il proprio ruolo, ricordando come i suoi predecessori siano usciti di scena per motivi personali o per voti contrari interni, non per automatismi sportivi. «Io in campo non vado – aggiunge – ma le mie scelte le difendo».
Gravina, riforme blocate: “basta cercare colpevoli”
Tema centrale resta l’impossibilità strutturale di introdurre cambiamenti profondi.
«La FIGC non può imporre riforme da sola – sottolinea Gravina – perché serve il consenso delle leghe. Se una lega è contraria, tutto si ferma».
Poi la denuncia: «In Italia lo sport più praticato è cercare colpevoli. Servirebbe una visione più ampia: possiamo sensibilizzare, non imporre».
Il presidente ricorda le norme introdotte per favorire l’utilizzo degli Under 23, come la possibilità di scorporare ammortamenti e stipendi dal calcolo dell’indice di costo del lavoro.
Gravina, la povertà dei talenti azzurri
I numeri sono impietosi: «Su 20 squadre di Serie A abbiamo solo 97 giocatori selezionabili per la Nazionale: il 25% del totale».
Secondo Gravina, i club – pur involontariamente – diventano rivali della Nazionale, più attenti ai propri bilanci che alla crescita del movimento.
«Prima eravamo maestri di tecnica, il calcio è cambiato: ora conta anche fisicità e velocità. Noi stiamo cercando di adeguarci con una progettualità avviata dal 2018».
I progetti sui giovani: “meno tattica, più estro”
Il presidente insiste sulla rivoluzione culturale già in atto.
«Con Perrotta, Zambrotta e Prandelli stiamo lavorando sull’attività di base dai 5 ai 13 anni. Vogliamo liberare i bambini dalla gabbia della tattica precoce».
L’idea è separare i percorsi: chi punta ai risultati non può lavorare nei settori giovanili, serve una figura nuova, quella del formatore.
Spalletti e Mancini: le verità di Gravina
Nel passaggio più delicato dell’intervista, Gravina svela retroscena pesanti.
«Spalletti non lo avrei mai esonerato» dice, ribadendo stima e fiducia nell’attuale CT.
Poi la rivelazione su Mancini: «Voleva tornare commissario tecnico». Una frase che restituisce l’immagine di rapporti più complessi di quanto apparisse pubblicamente.
Stranieri: “impossibile limitarli”
Capitolo stranieri: niente rivoluzioni all’orizzonte.
«Limitare i comunitari è impossibile – afferma Gravina – lo vietano le norme europee dalla sentenza Bosman in poi. La FIGC può agire solo sugli extracomunitari rispettando la legge Bossi-Fini».
L’unica via è incentivare gli investimenti su strutture e settore giovanile. «Puntare sugli italiani non può essere un obbligo: deve diventare una vocazione naturale».






